Collezione O'zbekiston
«Xush kelibsiz!» sono le prime parole uzbeke che mi accolgono a Samarcanda, nel cuore della Via della Seta. Benvenuta!, dice Farukh, la mia guida, mentre allarga un sorriso gentile sotto un cielo senza nuvole. Le tre Madrasse di Piazza Registan abbracciano la musica popolare del rubab, lo strumento a corde in legno di gelso. C’è nell’aria profumo di spezie, pane appena sfornato e datteri canditi. Ho come la sensazione di un déjà vu.
La luce si rincorre tra gli intagli dei palazzi in pietra antica, smussandone i profili squadrati. Lo sguardo fruga nei mosaici blu royal e azzurro mare, tra le simmetrie e i dettagli piccoli piccoli. Qui sembra tutto cucito a mano: come la trama e l’ordito, s’intrecciano storie e culture dei popoli dal V secolo a.C. Qual è la mia?
Abbiamo viaggiato per 2 ore, lasciandoci alle spalle un deserto a perdita d’occhio.
La Valle di Fergana è la più fertile e verde di tutto il Paese. Gli alberi sono pieni di melegrane, qui. Varchiamo la porta stretta del filatoio; Farukh per primo.
Una donna l’ha chiamato da lontano. Ha i piedi scalzi, la testa coperta da un velo e le mani veloci. Il ritmo del telaio in legno è serrato; incalza fin quasi a diventare musica.
Un filo, poi l’altro e l’altro ancora. Eccolo il Bakhmal: il velluto di seta uzbeko tessuto due metri alla volta.
Farukh risponde quasi subito alla videochiamata. È la prima volta che qualcuno vede i capispalla in Bakhmal, oltre le sarte ed io. Samarcanda è a 6.512 km e anche davanti ai nostri occhi. Come la melagrana nei suoi chicchi, nei suoi tessuti gentili diventa unione di storie lontane. Il viaggio è appena iniziato.